CONDIVIDO: Riflessioni

 

LETTERA AL CORONAVIRUS


Caro virus,

dico caro perché ci stai costando molto caro. Nessuno ti ha chiamato, voluto e desiderato. Sei arrivato e ti sei seduto su un trono con la tua corona in testa ed hai importo il tuo diktat di sofferenza, morte, difficoltà economiche, paure, lontananze.
La signora Lucia che aveva appena inaugurato il negozio all’angolo, non riaprirà più e come lei tanti altri rischiano l’occupazione. Tu le hai dato il colpo di grazia. La mia amica Giulia sono mesi che non vede la mamma nella RSA e in tanti hanno perso persone care senza poter star loro vicine.  Molti rischiano e perdono la vita per aiutare altri in difficoltà.
Ci hai obbligato a star lontano dai nostri cari, figli, nipoti, amici costringendoci a vederli su skype, zoom, whatsapp che hanno il sapore del caffè di cicoria rispetto all’aroma del 100% arabica.
Hai cintato i giardini e i parchi come luoghi pericolosi. La gioia del cinema, teatro, dello spettacolo dal vivo l’hai tolta con un colpo di spugna, lasciandola sul web, come se fosse la stessa cosa!
Ci concedi la lettura, grazie!!
Qualcuno ha detto che sei arrivato per insegnarci qualcosa. Beh, ci sarebbero maestri migliori di te.
Se sei arrivato per dirci che i tagli alla sanità avrebbero portato danni e che i servizi sul territorio  erano inadeguati, che la natura richiedeva più rispetto, che il nostro stile di vita basato sul consumismo sfrenato andata rivisto, che si stavano perdendo valori come rispetto, accoglienza,  e potrei continuare… beh, le sapevamo già tutte.  Le hai sottolineate con la matita rossa, questo sì come  facevamo una volta i maestri elementari.
Hai fatto sì che emergesse il volontariato in tutte le sue sfaccettature in aiuto a chi è più in difficoltà: anche questo forse tu non lo sapevi,  ma esisteva già con tutta la sua forza.
Esperti e studiosi ti stanno alle calcagna, cercano di capire chi sei veramente, cercano soluzioni per buttarti giù dal trono.  Noi cittadini contribuiamo comportandoci con responsabilità.
Ti chiedo di andartene il più in fretta possibile e sparire dalle nostre vite.

Eugenia Berardo

Tra sogni e paure

Il momento più difficile della giornata è il mattino: appena sveglia, mi piomba addosso tutta l’amarezza per le persone “lontane” (non poter abbracciare la mia mamma anziana, la mia nipotina di appena 3 mesi…) e il timore angoscioso che questa situazione si protragga oltre i limiti del sopportabile, fino a cronicizzarsi. Ho imparato che per ‘sbloccarmi’ devo ignorare questi pensieri, alzarmi e attivarmi come se fosse un giorno normale: mi lavo, mi vesto, preparo la colazione, faccio qualche piccolo lavoretto o leggo un articolo di giornale. Passato il momento cupo, la giornata procede spedita e serena: lavoro da casa part-time, poi letture, esercizi di scrittura creativa, settimana enigmistica, tv e un briciolo di ginnastica. E soprattutto tante telefonate ogni giorno: ai miei cari, ad amici, a persone sole, anziane o malate. Telefonate che scaldano il cuore, a me e a loro. Vorrei anche pregare ma non ci riesco.

Non mi annoio e non mi sento sola. Le rare volte in cui esco, per fare la spesa o buttare l’immondizia, cerco di percorrere le vie del quartiere dove ci sono alberi, piante fiorite e canti d’uccelli. La bellezza della natura è un grande conforto per lo spirito.

 

Che cosa mi manca di più? (anche rispetto al servizio…)

Le cose che mi mancano di più in questo momento sono:

  • La mia nipotina di appena 3 mesi: vorrei abbracciarla, coccolarla, aiutare mia sorella con il babysitteraggio, invece devo accontentarmi delle videochiamate e di seguire a distanza gli innumerevoli progressi che in questi primi mesi di vita sono quasi continui… Un periodo che ci è stato tolto e che nulla potrà restituirmi. Con l’incertezza del “fino a quando?”
  • Mi manca stare all’aria aperta, fare lunghe camminate a contatto con la natura, immersa nel silenzio e nella pace, lasciando vagare lo sguardo su ampi paesaggi, cielo, campagna, montagne, mare…
  • Mi manca il non avere una prospettiva futura, poter fare progetti sensati solo per il breve termine
  • Del servizio mi mancano: l’incontro con l’altro, lo scambio di sguardi e sorrisi, il rispecchiarsi nell’occhio dell’altro – proprio quel “particolare” altro che è il malato psichiatrico – e mi manca il vedermi con gli occhi dell’altro, quello sguardo che mi fa sentire in pace e migliore di quanto in realtà non sia.

 

Che cosa ho riscoperto o scoperto di nuovo?

  • Grazie alla collega AVO Lucia Nicoletta ho iniziato a partecipare a un gruppo di scrittura creativa. Da sempre scrivo per lavoro, ma su temi “dati”, ed ero convinta di non avere fantasia e immaginazione. Invece grazie a questa esperienza ho riscoperto il gusto di scrivere per il puro piacere di farlo, e ho scoperto che qualche dote creativa ce l’ho anch’io!
  • Ho più tempo per seguire le opere liriche che spesso Rai 5 propone: un’opportunità, a costo zero e con la possibilità di starmene comoda sul divano, per rivedere opere che già conosco e per scoprirne di nuove. L’opera lirica è per me una delle forme d’arte più complete, perché abbraccia canto, musica, recitazione, balletto… e racconta sempre qualche storia che fa riflettere sulla vita e l’umanità
  • Sarà il tempo dilatato, sarà il richiudersi un po’ su se stessi, sarà il distanziamento da molte incombenze esterne, sta di fatto che sto riscoprendo e “ricordando” molti dei miei sogni e ambizioni giovanili, alcuni lasciati a prender polvere nel cassetto, e mi verrebbe voglia di ricominciare da capo e iniziare una nuova vita… Forse sono pie illusioni, forse germi di un reale rinnovamento… chissà…

Stefania Garini, reparto psichiatria S. G. Bosco

Riflessioni di un Volontario in R.S.A.
 
Questo virus che ci ha contagiati su scala mondiale ci ha sconvolto la vita : ci ha mostrato tutta la nostra fragilità e  messo in crisi tante nostre certezze. Soprattutto ci ha costretti ad allontanaci fisicamente  dalle persone a noi care: genitori, figli, nipoti, amici. E per me che sono un volontario in una casa di riposo per anziani da tanti anni il pensiero angosciato va spesso alle  tante amiche ed amici ospiti nella struttura da me frequentata e mi chiedo per chissà  quanto tempo ancora non potrò più vederli e di cui non possiamo sapere nulla per via della privacy. Spero che stiano tutti bene. Sappiamo che già in tempi “normali” queste persone vivono in una solitudine spaventosa. Anche se stazionano e mangiano gomito a gomito ciascuno di loro è chiuso nella solitudine  dei propri sentimenti, pensando e ripensando alle proprie vicende personali, ai bei tempi della famiglia, degli affetti, delle amicizie, del lavoro, e magari alle delusioni, agli abbandoni. E il tempo sembra non trascorrere mai. Una vita cupa, grigia non scevra talora di rimpianti e di rimorsi. Prezioso è dunque il nostro andar  loro incontro con un sorriso, una stretta di mano, un abbraccio, una carezza, un bacio,  e magari con un pò di musica, di canto, qualche lettura. E la nostra ricompensa è nei loro occhi che si illuminano e nel loro ringraziarci continuamente. Ho sempre pensato che, per quanto benemerite,  le case di riposo non siano le strutture più adatte ad ospitare donne e uomini  che hanno perso la loro autonomia . Il loro primo dramma quando giungono in una R.S.A. è quello dell’aver dovuto abbandonare la propria casa, dove c’erano le memorie, gli affetti, l’arredo, le foto, e  tutto ciò che aveva riempito la loro vita,  e inoltre   man mano che passa il tempo sempre più insopportabile è la solitudine. E’ necessario un cambiamento radicale.  In che modo?  Innanzitutto consentendo alle persone anziane di rimanere nella propria abitazione il più a lungo possibile attraverso il potenziamento di  una rete di volontariato domiciliare,  da incentivare opportunamente anche con finanziamenti pubblici,  e  là dove non fosse più possibile,  creare strutture più agili di accoglienza  tipo case famiglia, con un numero limitato di ospiti assistiti da personale qualificato così da assicurare loro una vecchiaia più serena, più decorosa e degna di essere vissuta. Con questo sistema forse si sarebbero potute proteggere e salvare  le migliaia di  anziani colpite dal Covid19, salvaguardando cosi un grande patrimonio delle nostre famiglie.      
 Torino, Aprile 2020      
                                                                                                                 Nicola Ieluzzi
Il pensiero è tratto da Abbraccio di luce – Immagine di Rima Koussa
(artista siriano nato nel 1976 a Damasco.

 Credo che queste poche righe riassumano lo stato d’animo di chi, come
me, sta vivendo questo periodo in solitudine e questo mi ha portata a
paragonare la mia situazione a quella dei pazienti che abbiamo spesso di
fronte. A volte si sentono soli e le nostre parole possono confortarli,
come in questo periodo le parole dei nostri amici e dei nostri familiari
(al telefono) confortano noi.

Un abbraccio a tutti da

Marina Bossola – Volontaria presso lo SGAS.

AL TEMPO DEL CORONA VIRUS    

 

 

Ricordo un ultimo week end in montagna, tanta neve, splendido sole, tanta gente,  festeggiata per un compleanno con gli amici. Erano appena state chiuse le scuole e le amiche progettavano di rimanere in montagna con i nipoti.

Si parlava del virus in modo ancora distratto, delle chiusure ipotetiche, della situazione lombarda, poi tutto è precipitato.

Non volevamo crederci, la Cina ci sembrava ancora lontana e invece ci siamo ritrovati ingabbiati, reclusi, tutto chiuso, tutto fermo, anche i parchi e i giardini vietati. Propaganda serrata dappertutto “Io resto a casa”, “Andrà tutto bene”, messaggi  e video martellanti sul telefonino e in tv.

Lontano dagli affetti familiari, tutte le nostre attività interrotte, i corsi, gli appuntamenti, la palestra, il caffè e il ristorante con gli amici, il cinema, il teatro e i concerti. Un disastro!

I primi giorni sono stati durissimi, nessuna programmazione del tempo, nessuna strategia, tutto da inventare in un gran disordine mentale e poi

piano, piano ci siamo adattati, il lavoro e la scuola digitalizzati e la presa di coscienza per ognuno  di dover accettare la dura realtà.

Molti volontari mi hanno inviato un report di questo tempo sospeso. Vorrei riportare qui le loro esperienze che ho molto apprezzato.

La prima cosa che salta agli occhi è la capacità di adattamento che tutti in qualche modo hanno trovato, chi programmando con accuratezza le attività della giornata, chi rifiutando ogni piano per seguire la casualità, dopo aver svolto le attività necessarie come le pulizie, il riordino, la cura dei fiori, la spesa.

Si sta a casa! Questo sembra l’imperativo per tutti.

Qualcuno ha la fortuna di vivere nel verde di un giardino e fuori città.

Allora i ritmi sono diversi, I gatti di casa diventano gli amici prediletti e le conversazioni si fanno continue, si perché anche i miagolii vanno interpretati.

I collegamenti con l’associazione sono presenti in modi diversi, soprattutto per chi ha incarichi istituzionali, e qui la tecnologia ha assunto un’impostazione non prevista con le piattaforme, le video chiamate, le telefonate, i messaggi anche con gli amici e i familiari.

L’attività motoria non sembra prevalere, solo qualcuno segue lezioni di ginnastica o yoga in video o fai da te.

Molti si sentono insicuri quando escono di casa, se possono mandano un familiare anche a fare la spesa, cercano se possibile la natura con le piante, la bellezza dei fiori che in questa primavera speciale sembra volerci forse consolare.

All’inizio, con la scusa di eliminare l’inutile, c’è stata la revisione di vecchi documenti, scritti personali mai rivisti, relazioni dimenticate, vecchie foto

un po’ scolorite. Appare però difficile eliminare, staccarsi da fogli scritti che in qualche modo ti collegano a momenti di vita perduti, ma che improvvisamente tornano presenti e importanti.

E poi c’è la lettura: si leggono libri ancora intatti di argomenti che ora ci sembrano molto interessanti, si termina la lettura di alcuni che era stata interrotta perché c’era sempre poco tempo.

Si seguono video conferenze degli autori preferiti, si sente molto la radio e poco la televisione perché le notizie sembrano non variare mai e mettono ansia quando è ancora difficile vedere l’uscita dal tunnel.

La preghiera per qualcuno è una pratica quotidiana, per qualcun altro è faticosa e il percorso spirituale è pieno di inciampi. Ci si sente smarriti, pieni di incertezze, talvolta spaventati, ma sempre pieni di coraggio, di un desiderio forte di arrivare a superare questa comune tragedia anche con l’aiuto di Dio.

C’è poi la cucina e qui le appassionate danno il meglio ma  molte persone, anche sole si realizzano e sperimentano nuove ricette anche con l’aiuto di Internet .Chi vive in famiglia poi trova un habitat perfetto cercando di non dimenticare l’aumento delle calorie. Non bisogna ammalarsi, avere degli infortuni, insomma l’ospedale deve rimanere lontano e inaccessibile.

La lontananza dagli affetti familiari è difficile da reggere, specie quando ci sono nipoti grandi e piccoli, anche se le video chiamate sono un surrogato accettabile.

Nessuno vuole arrendersi alla paura, agli egoismi personali e rimanere chiuso nella propria individualità.

Tutti hanno riscoperto il valore fondante della comunità e non sentono di appartenere solo a se stessi. Siamo singolari e plurali, singolari per la personalità di ciascuno che è unica e plurali per la relazione con gli altri, chi ci circonda oggi e coloro che verranno dopo di noi.

Nessuno ha intenzione di arrendersi.

Non si sa se saremo migliori, sicuramente saremo diversi.

Marina Chiarmetta

I primi momenti sono stati di disorientamento e di timore… Tante domande si sono accavallate nella mia mente relative soprattutto alla gestione quotidiana, alla comprensione di quanto stava accadendo… Poi, quasi di colpo, è sopraggiunta una grande quiete. Questa pandemia ci costringeva a fermare la frenetica corsa che stava portando tutta l’umanità verso il baratro dell’auto distruzione. Il piccolo, invisibile “virus” era un forte, inaspettato “schiaffo” per tutti noi, piccoli uomini, avidi e incoscienti, burattini dalla testa e dal cuore di legno, sempre più avidi di cose, di case, di viaggi, di feste, di cibo, assetati di ego!!!! La giostra del nostro luna park, al quale abbiamo sacrificato la salute, la natura, l’amore… si era rotta.
Ho dovuto rinunciare agli impegni, alle uscite, al servizio nel reparto di pediatria del Martini, alle spese quasi quotidiane, agli incontri con le persone, all’accudimento dei nipoti… accorgendomi che non era poi così male avere finalmente il tempo x esserci veramente. Ho dedicato più tempo ora alle persone di quanto lo facessi prima, così presa, come tutti, dalla frenesia collettiva. La tecnologia è stata di grande aiuto nella comunicazione quotidiana con gli altri. Qualche kilometro sulla ciclette, 10 piani a piedi, una veloce corsa al negozio per gli acquisti essenziali, una dieta semplice e frugale… lettura, musica… pulizia della casa, questi gesti semplici mi hanno permesso di vivere questo tempo in modo sufficientemente sereno e di trasmettere serenità ai miei cari. Spero che la maggior parte di noi umani, coinvolti in questa situazione che ha comportato tanta sofferenza e morte per molti, faccia tesoro di questo grande insegnamento che la Vita ci ha dato e continuerà a proporci nei mesi a venire… Temo che nella ripresa ci si dimentichi dei veri valori e si ritorni alle antiche abitudini. Un forte abbraccio a tutti i VOLONTARI. Liliana